ISTANBUL di Elisabetta Ziliotto
Testo di presentazione della mostra[spoiler title=”ITA” style=”simple” icon=”chevron”]Un sogno lungo un continente, lungo una lingua, lungo migliaia di secoli, lungo un ponte di anime. Un sogno uscito dalla memoria antica, una chimera che ha spesso cambiato nome, volutamente o imposto dal destino: Costantinopoli, Bisanzio, Istanbul! La favolosa, mitica Istanbul con il suo chiasso, la sua attività frenetica, il suo equivoco e inganno sempre in agguato, il suo aspetto di città marinara e portuale che ricorda a tratti la severità di Genova, a volte la ciarliera Venezia, a volta ancora la rissosa Napoli, ma che in fondo è solo, puramente turca. Una città dalle mille sfaccettature, complessa, ostile, aperta, internazionale e provinciale, piena di misteri che attraggono come calamite e angoli che allontanano, come se gli occhi non volessero o non potessero captare tutta quella strana energia. Ineffabile. Per ogni viaggiatore che arriva l’impatto è diverso. Istanbul è una città che non si può raccontare in una sola giornata, in un solo romanzo, non si chiude in un solo sogno, ma la si trova in tanti racconti diversi che portano la firma di ognuno di noi. Questo libro ne è la prova, tante foto, tante narrazioni, storie personali, perché è così che Istanbul si svela ad ognuno. Ecco allora che gli scatti raccolti e spiegati in successione, dall’arrivo con il saluto dei gabbiani, all’arrivederci mentre sempre questi marini uccelli accompagnano il rientro, sono un’alternanza di vissuti assolutamente personali, alternanza di sentimenti che ancor prima che inquadrati con l’obiettivo sono stati composti nella mente. Istantanee diverse, così come diversi sono i fotografi, i soggetti, gli attimi raccolti. Immagini forti e nette si alternano ad altre che sembrano quasi pitture. La sensualità delle fotografie a colori rincorre la purezza di espressione del bianco e nero. Solo così è stato possibile raccontare in modo autentico azioni, sensazioni, impressioni di questa città che esplode in pura energia creativa, dove le immagini hanno la forza di ispirare la fantasia dell’osservatore tanto da indurlo ad immergersi nella vita cittadina ed entrarvi e fare parte per un momento di questa dinamica popolazione. Questi giovani fotografi sono riusciti a catturare l’essenza di Istanbul, non solo fulgido esempio del tanto ricercato incontro di civiltà, così sconsolatamente assente nel mondo moderno, ma anche del suo quotidiano sempre appeso a un passato che ostenta in spettacolari testimonianze. Architetture immortali come Hagia Sophia, simbolo della sua storia millenaria, la Moschea Blu e quella di Solimano, la Cisterna, immenso serbatoio d’acqua sotterraneo sorretto da colonne importate da tutta l’Europa, appaiono accanto a scatti che riprendono attimi nel Gran Bazar, sul Corno d’Oro, nel Sultanahmet, il quartiere più antico della città che a dispetto di ciò che si racconta sulla rigidità del carattere della sua gente, permette ad un greco di lavorare insieme ad un artigiano armeno, o ad un uomo d’affari turco di stringere alleanze con un ebreo. Foto che hanno la capacità di raccontare che è proprio la cultura e la fusione tra varie identità che hanno donato all’antica Bisanzio uno spirito fuori dal tempo.
Fotografi
Andrea Caravello, Andrea Marani, Antonio Fenio, Carlo Varotto, Davide De Pieri, Liana Bortolozzo, Michele Salmaso, Nicola Compagno, Rita Rossi, Roberto Mazzetto[/spoiler][spoiler title=”ENG” style=”simple” icon=”chevron”]
A dream as vast as a continent, as vast as a language, thousands of centuries long: long as a bridge of souls. A dream springing from ancient memory, an apparition which has often changed names, voluntarily or when forced by fate: Constantinople, Byzantium, Istanbul! The fabulous, mythical Istanbul, with its noise, its frenetic activity, its deceits and duplicities perennially ready to ambush you; a seaport sometimes reminiscent of Genoa’s severity, sometimes of Venice’s chatter, sometimes of Naples’ feistiness; but ultimately, simply, purely Turkish.
City of a thousand facets: complex, hostile, open, international and provincial; full of mysteries that attract like magnets, and dark, forbidding recesses, as if our eyes did not want or could not manage to capture all its strange energy. Ineffable.
For every traveller arriving, its impact is different. One cannot narrate the city of Istanbul in a single day, in a single novel; it is not shut up in a single dream, but present in many different stories, as written by each one of us.
This book reflects as much. It includes numerous photographs, numerous narrations and personal stories, for it is in multiplicity that Istanbul reveals itself to each of us. The snapshots are grouped and described in temporal succession: from our welcoming by seagulls, to our good-bye, as the sea birds accompany us on our return. The images reflect a variety of fully personal experiences, a variety of feelings which, even before finding expression through the camera lens, have been shaped by the mind: differing snapshots, just as the photographers differ, and the subjects, the moments captured. Strong, clear images alternate with others resembling paintings. The sensuality of the color photographs follows upon the starkly pure expression of black-and-white.
Only in this way has it been possible to narrate—authentically—the actions, sensations and impressions produced by a city exploding with pure creative energy, where images have the power to inspire the observer’s fantasy so deeply as to immerge him or her in the city’s daily life, leading the visitor to become, if only for a moment, part of its dynamic populace.
These young photographers have succeeded in capturing the essence of Istanbul: not only as a shining example of the sought-after meeting among civilizations, so sadly absent in today’s world; but also in its daily life, perennially tied to a past which it so spectacularly displays: immortal architectural delights, such as Hagia Sophia, standing for more than a thousand years of history; the Blue Mosque, the Soleiman Mosque, and the Cistern, that immense underground reservoir sustained by columns imported from all over Europe, make their appearance alongside snapshots recording fleeting moments in the Grand Bazaar, on the Golden Horn, and at Sultanahmet, the oldest quarter of the city. Here, despite what some say about the rigidity of its people, a Greek may work alongside an Armenian craftsman; an ethnic Turkish businessman may do business with a Jew. These photographs prove that it is culture, and the fusion of various identities, which have given ancient Byzantium its timeless spirit.
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